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Partito Ambientalista Italiano
Ambientalisti - Animalisti
- Liberali
Ambientalismo e Natura
Un concetto merita di essere ribadito: in passato le
attività che danneggiano l'ambiente erano molto più contrastate
di quanto non avvenga oggi e non soltanto perché gli altiforni,
le automobili o le petroliere erano ancora da inventare. A
seguito della statizzazione del diritto, dell'imporsi di minimi
e massimi gestiti burocraticamente e, infine, dell'istituzione
di tasse sull'ambiente (secondo il principio "chi inquina paghi"),
i poteri pubblici si sono arrogati la facoltà di permettere a
taluni soggetti di danneggiare gli altri alla sola condizione
che il soggetto inquinante rispetti gli standard di legge o
versi denaro allo Stato.
Non solo: prima del
trionfo delle moderne concezioni stataliste, l'inquinamento era
concepito in maniera corretta, quale azione dannosa di un uomo
nei confronti di un altro uomo e delle sue proprietà, e non come
sfregio nei confronti di una natura genericamente intesa.
Dalla tutela dei beni
legittimamente detenuti si è invece passati alla
regolamentazione del diritto ad inquinare la terra, intesa come
una realtà fondamentalmente unitaria e affidata non già ai
singoli proprietari, ma alla comunità degli Stati. Il
fraintendimento a proposito dell'inquinamento è analogo a quello
che concerne la scarsità delle risorse. Anche qui, infatti,
nella logica dello Stato moderno burocratico la preoccupazione
non è più quella di permettere ai legittimi proprietari di
amministrare al meglio i loro beni, ma semmai quella - di tono
collettivista - di fare sì che le risorse dell'umanità vengano
preservate. Ed è sulla base di queste premesse che viene
legittimata la disastrosa espansione dei poteri pubblici.
Anche di fronte al danno
ambientale la legislazione tende oggi ad anteporre lo Stato ai
singoli individui lesi nei loro diritti. Come ha giustamente
sottolineato Guglielmo Piombini analizzando la normativa
italiana in materia, il danno ambientale è concepito "come una
causa indiretta di danno erariale allo Stato, perché il suo
verificarsi costringe lo Stato a espletare le attività
necessarie per porre riparo ai disastri ecologici". Il fatto che
ciascuno sia leso nelle proprie condizioni di vita non viene
neppure preso in considerazione.
D'altra parte, le
strategie fondamentali adottate dai sistemi politici occidentali
di fronte ai problemi ambientali sono riconducibili alla
regolamentazione, alle tasse ambientali e all'introduzione di
diritti a inquinare. Protagonista incontrastato è l'ente
pubblico, mentre ha un rilievo molto minore quel riconoscimento
della facoltà a non essere inquinato e non subire immissioni
moleste che era al cuore del diritto romano e delle successive
elaborazioni scaturite dalla common law, e che è ancora oggi al
centro delle teorie proprietariste.
Nella società
contemporanea, l'inquinamento dell'aria e dell'acqua può essere
paragonato, sotto taluni aspetti, alla caccia ai bisonti
nell'America del secolo scorso. Chi inquina l'aria è una sorta
di Buffalo Bill che saccheggia una risorsa collettiva - meglio:
collettivizzata dal degrado del diritto privato - e che può
agire in questo modo perché l'aria, analogamente al bisonte
americano dell'Ottocento, è un bene comune. Essa è di tutti e
quindi di nessuno. E serve a ben poco limitarne l'abuso
individuando standard al di sopra dei quali l'emissione di gas
inquinanti diventa illegale e sotto i quali invece ogni
produzione è legittima. Attribuire carattere pubblico all'aria e
alle acque (dei mari, dei laghi, dei fiumi...) fa sì che in
qualche caso vengano proibite azioni legittime e che molto più
spesso vengano permessi comportamenti aggressivi verso i diritti
altrui, inibendo libere contrattazioni su base volontaria.
Come abbiamo visto, invece,
nel diritto romano vi era il riconoscimento di una sorta di
proprietà sull'aria tale da permettere di evitare invasioni
entro i propri beni. Nessuno poteva impunemente fare rumore o
immettere elementi fastidiosi o dannosi nelle proprietà altrui.
La dottrina classica dell'immissio, in altre parole, dava ai
giuristi la possibilità di estendere la logica dei diritti di
proprietà ai nuovi fenomeni dell'industria e dell'inquinamento.
Questo significa che
ancora oggi, se solo si operasse un recupero di taluni principi
giuridici liberali, esisterebbero ben precise basi su cui
lavorare. Ma questa strada non è stata percorsa nel corso degli
ultimi secoli, durante i quali è prevalsa la logica della
centralizzazione collettivista. La stessa aria che era un tempo
tutelata dal principio dell'immissio è divenuta un bene pubblico
garantito (si fa per dire...) da leggi e regolamenti.
La scelta adottata dalla
modernità ha così lasciato un grave vuoto di strumenti giuridici
e tecnologici. Se i principi giuridici liberali fossero stati
rispettati, infatti, magistrati e tribunali avrebbero dovuto
acquisire ed elaborare forme interpretative nuove, adatte ad
affrontare quei problemi del tutto particolari che sono
collegati all'imporsi delle nuove tecnologie che caratterizzano
la società in cui viviamo. La possibilità di veder rigorosamente
tutelati i diritti di proprietà e l'impossibilità di
saccheggiare i diritti altrui (oggi genericamente definiti beni
comuni) avrebbe poi indotto gli imprenditori a sviluppare
soluzioni innovative.
Basta guardare a quanto è
avvenuto in materia di tutela e salvaguardia del patrimonio
animale, dove la recente adozione di soluzioni di mercato ha già
dato risultati sorprendenti. La tesi secondo cui la proprietà
privata può offrire strumenti legittimi ed efficaci ad
individuare una soluzione dinanzi alla scomparsa della
selvaggina o dei pesci ha trovato infatti numerose conferme in
questo campo. Un caso ormai paradigmatico, in tal senso, è
quello degli elefanti africani.
Come si sa, i giapponesi
sono grandi acquirenti dell'avorio e - per tale ragione - la
caccia agli elefanti è divenuta un'attività molto redditizia. Di
conseguenza il numero di questi grossi mammiferi, in Africa, è
da anni in netta diminuzione: con un'importante eccezione, però,
che sta iniziando a fare scuola. Nello Zimbabwe del socialista
Mugabe, in effetti, nel corso degli anni Ottanta è stata fatta
una scelta molto liberale. In quel paese gli elefanti non sono
più di proprietà pubblica ma privata, dato che i branchi sono
stati consegnati alle comunità di villaggio, le quali ora
gestiscono gli elefanti come una risorsa: organizzando safari
per turisti, in particolare, nel corso dei quali essi possono
uccidere tali pachidermi (e ad un prezzo molto alto).
In virtù della
privatizzazione degli elefanti, nello Zimbabwe c'è stato un
crollo del bracconaggio, dato che ogni villaggio vigila
attentamente sui propri beni, e la logica capitalistica che
muove i nuovi proprietari dei branchi li induce a favorire
l'aumento degli esemplari, la loro riproduzione e
moltiplicazione. I risultati si sono rivelati straordinari e
oggi lo Zimbabwe è il paese dell'Africa in cui il numero di
questi animali è maggiormente aumentato! In tale realtà non vi è
più il minimo rischio che gli elefanti possano scomparire, ma
semmai vi può essere un problema opposto, dato durante gli anni
Ottanta c'è stato un aumento intorno al 40% del numero di tali
pachidermi (contro il quasi dimezzamento degli elefanti africani
nel loro complesso!). Ma quanto si è detto per gli elefanti può
essere ripetuto per i castori del Canada o per i salmoni della
Gran Bretagna, dove la reintroduzione della proprietà privata è
riuscita ad ottenere successo dopo decenni di fallimenti
proibizionisti e conservazionisti.
PER UNA
ECOLOGIA DI MERCATO
In nome della "difesa dell'ambiente", le classi politiche
di vari paesi stanno progressivamente dilatando il loro potere
sull'economia e sulla società. Non solo: richiamandosi a rischi
ecologici più o meno fondati sono sempre più numerosi quanti
prospettano l'esigenza di dare vita ad uno Stato mondiale che
veda unificati in un unico cartello monopolistico i ceti
politici nazionali, in modo tale da elaborare terapie adeguate.
Secondo il dogma ambientalista, infatti, la tutela della natura
esige soluzioni planetarie e, quindi, istituzioni politiche di
quelle dimensioni.
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Programma
ANIMALISTA LIBERALE
La tutela della fauna selvatica e degli animali domestici
sono valori etici ed ecologici oltre che ormai anche normativi,
ben presenti e considerati sempre più importanti dai cittadini
di ogni età e condizione. Lo Stato insieme agli Enti Locali
dovranno quindi impegnarsi in azioni strutturali e sul
territorio affinché il rapporto con gli animali sia il più
solidale e meno conflittuale possibile attuando o inserendo nei
propri Statuti il principio di impegno per la promozione del
rispetto degli animali.
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I Paradossi
dell'Ecologismo
In nome della "difesa dell'ambiente", le classi politiche
di vari paesi stanno progressivamente dilatando il loro potere
sull'economia e sulla società. Non solo: richiamandosi a rischi
ecologici più o meno fondati sono sempre più numerosi quanti
prospettano l'esigenza di dare vita ad uno Stato mondiale che
veda unificati in un unico cartello monopolistico i ceti
politici nazionali, in modo tale da elaborare terapie adeguate.
Secondo il dogma ambientalista, infatti, la tutela della natura
esige soluzioni planetarie e, quindi, istituzioni politiche di
quelle dimensioni.
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Ambiente e
Consumatori
I Consumatori
Ambientalisti.
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Puliamo il
Mondo
Puliamo il Mondo.
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Relazione
Annuale del Segretario
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