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AMBIENTE E MERCATO

    Di fronte ai problemi sollevati dall'ecologismo statalista le soluzioni suggerite dall'ambientalismo liberale (dalla free-market ecology) sono tutte classificabili, in buona sostanza, entro tre grandi gruppi.

 

    Nel primo possiamo collocare i progetti volti a diffondere i diritti di proprietà sull'ambiente tramite vasti programmi di privatizzazioni, in modo da individuare proprietari per quelle risorse naturali che oggi si trovano sotto il controllo statale: la fauna, i boschi, i fiumi, i laghi, i mari, le montagne, ecc. Quando i beni ambientali non sono di nessuno essi finiscono per essere sottoposti ad un saccheggio irresponsabile o a un'incuria altrettanto grave, mentre un proprietario - in generale - ha tutto l'interesse ad assicurare un futuro al bene che è in suo possesso. Già in un saggio del 1968, Garret Hardin richiamò taluni argomenti aristotelici in merito all'importanza della proprietà privata e aprì la strada ad un dibattitto su quella che egli definì "the Tragedy of the Commons": ovvero sia la tragedia dei beni collettivizzati.

 

    Una seconda importante richiesta degli ambientalisti liberali è da ravvisare nella sottolineatura dell'esigenza che i diritti di proprietà siano effettivamente tutelati e che quindi si predispongano istituzioni atte a garantirne il rispetto. Se la proprietà privata è essenziale, è indispensabile che goda di un'adeguata protezione. Da qui proviene l'attenzione al neofederalismo e alle stesse teorie sulla libertà di governo elaborate dai teorici libertari, i quali individuano nella competizione tra sistemi giuridici il pilastro fondamentale di una società libera. Per avere proprietà protette è necessario, insomma, avere governi in concorrenza.

 

    Ma i liberali non si limitano a chiedere la privatizzazione dell'ambiente e una migliore tutela dei diritti di proprietà: essi, infatti, domandano la stessa cancellazione di quei regolamenti e di quelle leggi che ostacolano un mercato dei titoli di proprietà detenuti dagli individui e dai gruppi. Senza deregulation, infatti, non ci può essere alcuna circolazione dei diritti sull'ambiente.

 

    Il terzo gruppo di proposte liberali, allora, comprende i progetti miranti a permettere un vero mercato dei beni naturali e, quindi, a ridurre quegli intralci che le legislazioni in vigore frappongono all'azione di quanti sono disposti a scambiare titoli di proprietà di cui siano legittimamente in possesso: perché è il mercato concorrenziale la soluzione più efficace per gestire i problemi ambientali.

 

    Alcune delle principali tesi liberali in materia di ambiente traggono origine proprio da un saggio ormai classico dell'economista Ronald Coase nel quale è sottolineata l'esigenza di abbandonare la logica tradizionale, vincolistica e regolamentatrice, che - sulla scorta degli studi di Pigou e altri - tende a risolvere i conflitti tra un'industria che emette fumo e i proprietari delle aree vicine limitandosi a impedire, permettere o a tassare le attività comportanti un danno per i vicini.

 

    Coase rileva come questo tipo di soluzioni sia sub-ottimale, dato che gli imprenditori responsabili dell'inquinamento e i proprietari danneggiati dal fumo - in varie situazioni - potrebbero trovare intese contrattuali e di mercato tali da soddisfare meglio le loro esigenze. Immaginiamo che vi sia un'azienda industriale la quale arreca un danno valutabile nella misura di 5 ad un agricoltore confinante e immaginiamo che questa azione sia tale da essere proibita dalle leggi statali (poiché supera taluni standard). In questa situazione l'agricoltore sarà protetto dalla regolamentazione e l'imprenditore non avvierà, o non continuerà, le proprie iniziative.

 

    Questa conclusione, però, non tiene conto di una cosa. Si può ipotizzare, infatti, che l'impresa sia disposta a pagare 6, 8 e anche 10 all'agricoltore danneggiato in cambio del permesso di emettere fumi nel suo fondo. Ed è possibile, allora, che al termine di una libera contrattazione l'agricoltore sia disposto ad accettare il danno causatogli in cambio di una somma da lui considerata soddisfacente. La regolamentazione pubblica, però, impedisce questa soluzione; e mantiene tutti, tanto l'imprenditore come l'agricoltore, in una situazione meno vantaggiosa rispetto a quella che emergerebbe spontaneamente tramite liberi accordi contrattuali.

 

    Sottolineare questo non significa concordare in toto con le premesse teoriche di Coase. La tesi esposta nel saggio su Il problema del costo sociale muove infatti dall'idea che ogni conflitto connesso alle interazioni tra soggetti non può sfuggire alla constatazione di reciprocità. Se certamente è vero che interferenze pubbliche nella contrattazione creano un danno ad almeno ad uno dei due attori, il problema ci pare più complesso di quanto non lasci immaginare l'analisi coasiana. È giusto affermare che un legislatore orientato in una direzione o in un'altra è sempre costretto a danneggiare almeno uno degli attori, ma questo non permette di collocare l'industriale e l'agricoltore del nostro esempio sullo stesso piano. L'agricoltore, infatti, ha il pieno diritto di coltivare liberamente i propri campi senza subire danni; l'imprenditore, invece, non ha alcun diritto di tenere in attività la propria impresa se essa arreca disturbo alle coltivazioni del vicino e se quest'ultimo non gli attribuisce il permesso (gratuitamente o in cambio di un indennizzo) di continuare a lavorare. Le due aspirazioni, allora, non possono rivendicare la medesima legittimazione, così come non sono tra loro paragonabili - nel caso dell'aeroporto dell'Ohio citato da Rothbard - la pretesa del titolare dell'aeroporto e i legittimi diritti dei proprietari che non volevano essere invasi dal rombo assordante dei velivoli.

 

    Il punto più debole dell'analisi di Coase è forse da ravvisarsi nel fatto che egli resta intrappolato entro le logiche utilitaristiche della scuola di Chicago e pare non comprendere che un vero mercato liberale esige una forte affermazione dei diritti di proprietà individuali quali diritti naturali e non quali semplici attribuzioni legali. Se ora torniamo ad esaminare il caso dell'industriale e dell'agricoltore dobbiamo riconoscere come questo secondo abbia il pieno diritto di lavorare i propri campi, mentre lo stesso non si può dire per l'attività dell'imprenditore, il quale pretenderebbe di invadere i diritti altrui.

 

    Come già si è detto, da tutto questo non discende affatto l'esigenza che l'industriale sia costretto a chiudere la propria attività. Egli può continuare a produrre, ma a condizione di non entrare nella proprietà del vicino (in virtù, ad esempio, dell'adozione di adeguate tecnologie) o a condizione di ottenere l'autorizzazione dall'agricoltore, anche dietro al pagamento di una somma che quest'ultimo giudichi vantaggiosa quale compensazione dei danni alle coltivazioni.

 

    Al di là di quelle che possono essere le obiezioni di ordine teorico che sono state rivolte al teorema di Coase, rimane comunque fuori discussione che un'efficace protezione della natura ha bisogno della nascita di un mercato dei titoli ambientali e che solo una decisa riaffermazione dei diritti naturali può permettere di porre fine alla moltiplicazione di norme, leggi e regolamenti. Il deterioramento in tale ambito della nostra civiltà giuridica ha infatti aperto la strada alla distruzione delle risorse naturali: ed oggi sono proprio i molti problemi dell'ambiente a fornire alle classi politiche il pretesto per un ulteriore inquinamento del diritto.





PER UNA ECOLOGIA DI MERCATO

   In nome della "difesa dell'ambiente", le classi politiche di vari paesi stanno progressivamente dilatando il loro potere sull'economia e sulla società. Non solo: richiamandosi a rischi ecologici più o meno fondati sono sempre più numerosi quanti prospettano l'esigenza di dare vita ad uno Stato mondiale che veda unificati in un unico cartello monopolistico i ceti politici nazionali, in modo tale da elaborare terapie adeguate. Secondo il dogma ambientalista, infatti, la tutela della natura esige soluzioni planetarie e, quindi, istituzioni politiche di quelle dimensioni.

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Programma ANIMALISTA LIBERALE

   La tutela della fauna selvatica e degli animali domestici sono valori etici ed ecologici oltre che ormai anche normativi, ben presenti e considerati sempre più importanti dai cittadini di ogni età e condizione. Lo Stato insieme agli Enti Locali dovranno quindi impegnarsi in azioni strutturali e sul territorio affinché il rapporto con gli animali sia il più solidale e meno conflittuale possibile attuando o inserendo nei propri Statuti il principio di impegno per la promozione del rispetto degli animali.
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I Paradossi dell'Ecologismo

   In nome della "difesa dell'ambiente", le classi politiche di vari paesi stanno progressivamente dilatando il loro potere sull'economia e sulla società. Non solo: richiamandosi a rischi ecologici più o meno fondati sono sempre più numerosi quanti prospettano l'esigenza di dare vita ad uno Stato mondiale che veda unificati in un unico cartello monopolistico i ceti politici nazionali, in modo tale da elaborare terapie adeguate. Secondo il dogma ambientalista, infatti, la tutela della natura esige soluzioni planetarie e, quindi, istituzioni politiche di quelle dimensioni.

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Ambientalismo e Natura

   Un concetto merita di essere ribadito: in passato le attività che danneggiano l'ambiente erano molto più contrastate di quanto non avvenga oggi e non soltanto perché gli altiforni, le automobili o le petroliere erano ancora da inventare. A seguito della statizzazione del diritto, dell'imporsi di minimi e massimi gestiti burocraticamente e, infine, dell'istituzione di tasse sull'ambiente (secondo il principio "chi inquina paghi"), i poteri pubblici si sono arrogati la facoltà di permettere a taluni soggetti di danneggiare gli altri alla sola condizione che il soggetto inquinante rispetti gli standard di legge o versi denaro allo Stato.
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Ambiente e Consumatori

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